venerdì 4 maggio 2018

L'Omaggio al libro, "Borgo Perduto" del 5 maggio 2013. Quinto anniversario dalla pubblicazione.

In occasione del quinto anniversario dalla pubblicazione del Libro "Il borgo Perduto", scritto da Luigi Sica, ecco il mio omaggio letto al teatro "TAN" di Piscinola, la sera del 5 maggio 2013.

"Ecco un altro grande giorno per Piscinola, per la nostra cara Piscinola, dopo quella sera del 14 gennaio 2011, che dedicammo qui, alla cara “Terra del Salvatore”; quando ebbi l’onore di ricevere il tuo messaggio di auguri, caro Luigi.
Finalmente oggi è nato il libro “Il Borgo perduto”, il tuo libro su Piscinola.
Già immagino il bel “viaggio” che ci farai compiere indietro nel tempo, prendendoci tutti per mano…! Ho avuto conferma dai brani fin qui letti…
Ecco rivedere l’antico e affollato “Cape ‘e Coppe, con le sue viuzze e le venelle, con la sua gente sempre allegra e sorridente, pur vivendo nella dignitosa miseria…!
Ed ecco Miez’'a Piazza…, la cantina ‘e Pippotto, la trattoria ‘e Sarnacchiaro…e ’o brode ‘e purpo!
Ci farai riveder ‘o ‘Cape ‘a Chianca, con il suo vociare e quel profumo di terra bagnata che, dopo ogni temporale, dalle campagne di Scampia, fin lì si diffondeva; e …più giù, la bella e ariosa stazione della Piedimonte, con la mitica pasticceria Marra…, che profumo quelle sfogliatelle!!
Ed ecco riveder ‘a Festa ‘o Salvatore (la nostra bella festa…!) con quell’esplosione di gioia collettiva, ‘a zuppe ‘e cozze, ‘e bancarelle cu ‘o turrone, ‘e figurine e ‘o ffuoco ‘n’aria dai mille colori!! Tanto da dire ai giovani d’oggi: “Che vi siete persi…!!”.
Rivedremo le nostre verdi e fresche campagne, piene di grano, di canapa, di perzeche e di percoche; i dolci colori dello Scampagnato! (quando era veramente un verde “scampagnato” e non quel rione grigio di cemento che vediamo oggi…!). E poi le vecchie masserie, cu è panne spase mmiez’a ll’arie e l’inebriante profumo d’’e furne ‘e pane.
Ci farai risentire le dolci melodie della nostra banda, la bella "musica ‘e Piscinula", con i suoi bravi direttori: Santoro, Piccolo, e capiremo perché a Natale si dice ancora: “55, ‘a musica ‘e Piscinola”. 
Racconterai dei grandi personaggi, come di don Beniamino Montesano, di Mario Musella e del prof. Chiarolanza, nostro esimio scienziato e deputato della Repubblica.
Ci delizierai con tutti questi ricordi, che di sicuro ci porteranno tanta dolce nostalgia… 
Ci commuoveremo, lo so’, perché poi ci ritroveremo di sobbalzo, come dopo un bel sogno, qui, in questo mondo che quasi non ci appartiene, che ha conservato così poco di quel bel tempo, di quella umanità di Piscinola di una volta... 
Lo so’, ci prenderà anche una gran rabbia, pensando che abbiamo accettato silenziosamente tutte le metamorfosi, senza far niente per impedirle, senza reagire…, perché pensavamo che il “progresso” fosse l’unica panacea per tutte le povertà .... E alla fine ci siamo resi conto che allora eravamo ricchi senza saperlo e oggi ci sentiamo sempre più poveri, senza che ci manchi niente…!
Caro Gigi, consentimi di chiamarti così, da fraterno tuo amico: il livello culturale di un paese o di un quartiere si misura in base ai libri di storia e dei romanzi che gli vengono dedicati, e oggi, qui, posso dire insieme a te, che Piscinola è tra i quartieri ad avere il più alto numero di libri dedicati. Questo sai che vuol dire? Vuol dire che siamo figli di un grande popolo! E oggi, con questo tuo nuovo libro, saremo ancora di più fieri di appartenervi…
Ora anche a te il compito di diffondere la grandezza della nostra gente, la grande umanità dei vecchi piscinolesi, soprattutto ai giovani di oggi e di domani, perché possano sentirsi orgogliosi e fieri di appartenere a una grande terra.
Piscinola oggi soffre, è vero… e tu lo sai (lo sappiamo tutti!), per le molte scelte sbagliate, ma non può e non deve sentirsi considerata meno importante di altri quartieri della città di Napoli!
Ti abbraccio forte, caro Gigi, con i miei migliori auguri di “in bocca” al lupo per il tuo libro, e ad maiora semper!
Tuo affezionatissimo amico, Salvatore Fioretto".




domenica 29 aprile 2018

Dedicato a loro... ai personaggi del popolo!

Desideriamo ricordare in questo post i tanti personaggi del popolo, che pur nella loro semplicità e modestia, sono stati grandi e hanno dato un segno tangibile della loro presenza nella storia del territorio. Abbiamo quindi scelto la storia di tre personaggi, senza eseguire alcuna selezione particolare, ma raccogliendo a caso le loro figure tra le tante che in questi anni abbiamo conosciuto, attraverso le varie testimonianze e i ricordi. Essi sono nati e hanno vissuto nei tre quartieri che condizionano gran parte del territorio della cosiddetta "Napoli Nord": ossia Miano, Piscinola e Chiaiano.

Vincenzo Lamberti, abitante di Miano vecchia, era soprannominato 'o Muzzianese. Frequentava sovente Piscinola ed era anche conosciuto per un altro soprannome, quello di "Sarchiapone"; infatti ogni anno era tra gli organizzatori della Cantata dei Pastori scritta dal Perrucci, che si rappresentava soprattutto a Piscinola, nel vico Appagliaro (odierno Vico Operai). Alla Cantata dei Pastori egli infatti partecipava anche come attore, recitando nel ruolo di "Sarchiapone". 
Si arrangiava facendo cento mestieri, ma principalmente faceva l'imbianchino e lo stuccatore. Era in effetti un discendente di quella nobile schiera di artigiani (meglio dire artisti), che un tempo erano chiamati "mast''e capetiello", ossia decoratori di capitelli di colonne e di cornici nelle sale dei nobili palazzi e nelle chiese antiche. Vincenzo era stato per molti anni componente della banda musicale di Piscinola, suonando il tamburo. Ma più di tutto, era conosciuto e apprezzato perché nel suo povero basso, un tempo esistente nella Miano vecchia, allestiva un affollato presepe del Settecento napoletano, con figure di pastori alte anche 30 centimetri e oltre. Iniziava a prepararlo diversi mesi prima del Natale, già all'inzio dell'autunno. Spesso era solito incontrarlo per i viottoli di campagna e per le selve del territorio circostanti Miano e Piscinola, in cerca di curiosi rametti d'alberi, zolle di muschio e altri materiali biologici che, abilmente adattati, servivano per creare la scenografia del suo bel presepe settecentesco. Si racconta che addirittura l'aveva fatto assicurare contro i furti. Non sappiamo come l'avesse ricevuto, forse era un bene di famiglia, tramandato da generazioni. Per molti anni Vincenzo aveva abitato in un basso in via Del Salvatore a Piscinola.
Negli ultimi anni della sua vita, lasciò Miano, per abitare presso un figlio che risiedeva fuori provincia. Di carattere schivo e un po' scorbutico, era alla fine un animo buono e nobile, si faceva voler bene da tutti, infatti di lui, a distanza di tanti anni, si conserva ancora un buon ricordo. A proposito della sua partecipazione alla banda di Piscinola, si racconta un simpatico aneddoto accaduto a Miano, alla fine degli anni '50, durante i festeggiamenti di San Gaetano, quando la banda di Piscinola fu chiamata a suonare durante le celebrazioni patronali. La sera della festa, Vincenzo ebbe un diverbio, non si sa bene per quale motivo, con l'altro suonatore di tamburo della banda, che si chiamava Francesco De Chiara, soprannominato Ciccio 'o fasciste: forse per una rivalità artistica sorta durante l'esibizione dei brani sinfonici. La discussione si animò e divenne così accesa che Vincenzo, a un certo momento non contenendo l'ira, scaraventò il suo tamburo a terra, sfondandolo con i piedi. Abbandonò all'istante la banda, addirittura senza giustificarsi con il maestro. Quando gli animi si calmarono, rifece rimpellare il tamburo a sue spese, presso un aggiustatore di strumenti che si trovava in via San Sebastiano a Napoli, riprendendo il suo posto di musicista nel complesso bandistico di Piscinola.

Un personaggio caratteristico di Piscinola di un tempo era Don Vicienzo 'o Popolo, famoso per avere un repertorio recitativo, con centinaia di storielle e aneddoti, che hanno incantato diverse generazioni di piscinolesi, soprattutto i bambini dell'epoca. 
Don Vincenzo, che di cognome faceva Capobianco, spesso raccontava, ostentando anche un pizzico di orgoglio, che era figlio illegittimo di un nobile. Di queste origini ne faceva anche un motivo di vanto per giustificare il suo estro e la sua prosopopea da letterato... Per descrivere la singolarità del personaggio, basti ricordare che dal suo matrimonio ebbe ben nove figli, tutte femmine, tranne un unico figlio maschio che fu chiamato Costantino, le fanciulle ebbero tutti nomi singolari; chiamò, ad esempio, l'ottava figlia: "Ottavia", e l'ultima: "Nona". Purtroppo un grande dolore colpì il suo sensibile e nobile animo. L'unico figlio maschio, Costantino, fu vittima di un incidente mortale avvenuto in tenera età, subito dopo la Guerra, a causa dello scoppio di un ordigno bellico, mentre egli giocava con un gruppo di coetani, nel cortile esistente in vico II Plebiscito. Morirono in quell'episodio, oltre Costantino, una decina di bambini piscinolesi, mentre alcuni rimasero feriti gravemente. Non è stato ancora accertato il numero preciso delle vittime. 
Dopo questo tragico episodio, Vincenzo riprese la sua vita quotidiana di padre di famiglia. La sua famiglia era pur sempre numerosa e per sbarcare il cosiddetto lunario, si arrangiava a fare il ciabattino, ovvero 'o solachianiello. Il suo negozio consisteva in un piccolo "scannetto" (detto 'o bancariello), ricolmo di attrezzi del mestiere. Lo posizionava in un angolo antistante alla sua abitazione, nel vico II Plebiscito. Seduto dietro allo "scannetto", trascorreva  intere giornate intento a sostituire suole di scarpe consunte o a inchiodare dei tacchi malfermi. La cosa simpatica, però, era quella che il suo "scannetto" era sempre circondato da decine di bambini, che qui sostavano ore intere, restando incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti ed a osservare le sue espressioni mimiche e colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all'imbrunire, raccontando, come una recita senza sosta, i suoi numerosi fattarielli... Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il soprannome di 'o Popolo. Si racconta che egli ricordasse a memoria l'intera Divina Commedia. 
Vincenzo 'o Popolo è stato un concentrato di filosofia di vita e di simpatia!

Per descrivere il personaggio del quartiere di Chiaiano, prenderemo in prestito il racconto contenuto nel libro "I figli della Selva", scritto da Giovanni Baiano: racconteremo la vita di Luigi 'o Zainiello, detto anche 'o Muntese.
Lo Zainiello era un uomo alto e robusto che faceva il duro mestiere del cavatore di pietre di tufo nelle cave di Chiaiano (il soprannome di "Montese" deriva dal termine "Monte" che sta per cava), ma si arrangiava nel tempo libero, specie nei giorni festivi e anche di notte, a produrre e commerciare il vino, ottenuto dalle uve provenienti dalle campagne di Chiaiano e di Marano. Abitava in una piccola frazione di Chiaiano, detta Calori di Basso e nella sua abitazione aveva organizzato una piccola taverna, dove commerciava e offriva del vino da bere: prevalentemente, Fravulella, Pere 'e Palumme o Falanghina. Lo Zainiello era un intenditore di vini e anche un grande bevitore..., anche se, come diceva, senza mai ubriacarsi in vita sua. Diversi aneddoti si raccontano sulle sue "doti enogastronomiche". Una volta, in una gara, riuscì ad ingoiare ben cinquanta, tra sfogliatelle e babà, distaccando di misura gli avversari. In un’altra gara pure vinse per aver mangiato, tutto di un fiato, cinquanta salsicce, accompagnate da più di cinque litri di vino! 
Lo Zainiello non era famoso solo per queste sue qualità, diciamo di estro, ma anche per le sue idee politiche, che in piena dittatura, era considerate sovversive e antifasciste: era un convinto comunista e stalinista. Secondo il suo pensiero, non era giusto che le terre e le case dovessero appartenere solo ai ricchi, ma dovevano essere di tutti, come l'aria, il cielo, il sole, le stelle...  Da acceso sostenitore, non vi era un comizio di partito a cui non partecipasse. Per vendere il vino faceva diversi chilometri, carico di un tino sulle spalle, pesante una cinquantina di chili... Una volta i carabinieri lo fermarono infliggendogli una pesante multa. Per questo episodio aumentò il suo dissapore contro la dittatura fascista e contro l'ordine costituito del tempo. Se la prendeva anche con la Chiesa e i preti, considerati, a suo dire, degli impostori, che sfruttavano la buona fede dei poveri ignoranti. Una volta per le sue idee fu punito dai fascisti con il solito olio di ricino...
Durante la guerra faceva più viaggi, perché il suo vino "andava a ruba", anche per la presenza in zona di diverse centinaia di sfollati provenienti dal centro cittadino: famiglie intere che alloggiavano nelle cave di Chiaiano, per proteggersi dai bombardamenti angloamericani. A chi gli domandava notizie sulla guerra, rispondeva informato sulla situazione di tutti i fronti del conflitto: Grecia, Jugoslavia, Africa, Russia... Entrava nei dettagli, facendo anche un pronostico sugli esiti di ogni battaglia... Preoccupato quando avanzavano i tedeschi, era invece allegro quando erano le truppe anglo-americane ad avanzare. 
Il 1943 fu per lui l'anno più bello. Le notizie della Liberazione lo entusiasmarono. Luigi 'o Zainiello fu un uomo dotato di grande coraggio, per tutta la sua vita aveva percorso viottoli e strade di campagne solitarie, famose per essere frequentate da malviventi e da ladruncoli, senza temere per la sua incolumità, considerando anche che il peso dei recipienti trasportati gli avrebbero impedito ogni sorta di difesa. Quelli che invece gli facevano paura erano i militari e i poliziotti, che potevano sequestrargli il vino e infliggere multe... 
Un giorno gli amici gli fecero un brutto scherzo, lo appostarono a un angolo di strada e, quando sopraggiunse, gli gridarono di scappare perché c'erano le guardie. Lui, terrorizzato, adagiò la botte a terra e scappò in fretta per la campagna. I burloni, una volta guadagnato il campo, si sedettero tranquilli ai lati della botte e la lasciarono solo quando fu svuotata quasi di tutto il suo contenuto. Dopo aver recuperato il recipiente, Luigi raccontava, compiaciuto, che le guardie quella volta erano state più generose del solito, perché, pur sequestrando parte del vino, almeno gli avevano risparmiato la contravvenzione...
Dopo l'Armistizio, divenne un protagonista della Resistenza, andando a caccia dei tedeschi in fuga. Si sparse la voce che con l'aiuto di altri tre valorosi aveva cercato di disinnescare il ponte della "Savorella", presso Monte Cassino, perché era stato minato dai tedeschi in ritirata. Ma, nell'intervenire, i nostri combattenti si accorsero che altri partigiani li avevano preceduti... Resta comunque il valore del gesto compito da parte del nostro Zainiello e compagni. 
Masseria di Campodisola, foto di Ferdinando Kaiser
Dopo la Liberazione, egli divenne un membro attivissimo del partito comunista, anche se questo partito non raccolse grossi consensi nel territorio. Segno caratteristico di questa sua passione erano i due vistosi baffoni, modellati alla maniera di Stalin, che portò con molto orgoglio durante tutta la sua vita. 
Fu apprezzato per la sua coerenza e la statura morale, anche se era un idealista e forse anche po' semplicione. Pur di tempera forte, non visse a lungo, forse proprio a causa dei suoi eccessi alimentari. Era un fatalista e non credeva nei medici. Considerava che per un uomo, quando giungeva il momento della fine della propria vita, non esistevano medici o santi che potessero evitarla, per questo, era meglio viverla in pienezza, senza dar conto alle privazioni inflitte dai medici. E, quindi, incurante, continuò a mangiare e a bere, senza preoccuparsi dei segnali di malasalute... Durante la vendemmia di quell'anno, mentre pigiava con i piedi le uve, come era solito fare nell'antico tino tramandato dai suoi antenati, Luigi 'o Zainiello terminò per sempre la sua battaglia con la vita. I familiari lo trovarono all'ora di cena, esamine, sdraiato sopra le sue vinacce profumate, come se dormisse. L'espressione del viso pareva che trasmettesse felicità e soddisfazione...

Termina qui l'evocazione dei "personaggi del popolo", di quei semplici e coraggiosi combattenti nelle avversità e nella vita di tutti i giorni, che hanno insegnato ai loro contemporanei e oggi anche a noi, uomini del XXI secolo, il concetto profondo di "Umanità".

Salvatore Fioretto

Desideriamo ringraziare per la collaborazione gli amici Pasquale Di Fenzo e il maestro Nicola Mormone. Ringraziamo il Gen. Giovanni Baiano per aver acconsentito di poter utilizzare liberamente il contenuto del racconto "Luigi 'o Zainiello", tratto dal suo bel libro: "I figli della Selva", a cui rimandiamo i lettori interessati per un doveroso approfondimento. 

venerdì 20 aprile 2018

I grandi artisti dell'Area Nord di Napoli: il pittore Gaetano Bocchetti di Miano



Continuiamo, con questo post, a raccontare la vita degli artisti, che sono nati o che hanno vissuto nei quartieri appartenenti all'Area Nord di Napoli, che si sono distinti per le loro opere, in ogni periodo della storia. Già in passato abbiamo descritto le figure artistiche del maestro presepista e pittore Luigi Signore e del pittore Francesco De Mura.
In questo racconto parleremo di un artista originario del quartiere di Miano, che ha dato lustro alla pittura italiana nel secolo scorso, parliamo del maestro Gaetano Bocchetti.
Gaetano Bocchetti nacque a Miano, il 10 agosto 1888. Dopo aver conseguito il diploma presso l'Accademia delle Belle Arti di Napoli, si distinse per una prolifica produzione artistica: nell'arco della sua lunga vita, infatti, ha immortalato su tela tantissimi scorci di paesaggi, e poi numerosi personaggi e oggetti di vita comune. 
Ma l'opera pregevole che più di tutte l'ha distinto e reso conosciuto nel panorama artistico nazionale, è rappresentata dal ciclo di affreschi dipinti per la chiesa e per il monastero di San Giuseppe da Copertino a Osimo, in provincia di Ancona.
Prendiamo in prestito il contenuto della monografia redatta a cura dei frati francescani del convento di Osimo, che descrive il ciclo pittorico e, con esso, la biografia dell'autore originario di Miano. 

GUIDA AGLI AFFRESCHI 
OSIMO – SANTUARIO SAN GIUSEPPE DA COPERTINO - BIOGRAFIA
"Bocchetti Gaetano, nasce a Miano (Napoli) il 10 agosto 1888.
A Napoli si iscrive all’Accademia di belle Arti, dove conclude brillantemente i corsi di disegno e pittura.
Nel 1920 partecipa alla Biennale di Venezia, nel 1921 alla quadriennale di Roma, nel 1923 e nei successivi anni, alla biennale nazionale di Napoli, poi alla mostra fiorentina organizzata da Sembenelli, nel 1926 alla Quadriennale di Torino, al premio Cremona nel 1935-36, al premio Michetti nel 1965, nello stesso anno alla mostra premio Posillipo.
Negli stessi anni è presente alla collettiva di Arte Sacra in Roma e offre una sua personale alla Galleria Pesaro di Milano.
Il maesto Bocchetti durante l'esecuzione degli affreschi a Osimo.
In epoche pia recenti, allestisce varie e numerosissime mostre personali in tutta Italia e nelle maggiori capitali di paesi stranieri. 

Numerose le chiese in Italia da lui affrescate tra cui la Basilica S. Giuseppe da Copertino. Di lui hanno scritto i più illustri critici d’arte così come riviste e giornali.
Recensito altresì da innumerevoli cataloghi d’arte nazionale e internazionale, egli è presente nei più importanti dizionari.
Le sue opere, a parte gli affreschi, fanno parte delle più pregiate collezioni private, oggi in Europa, mentre numerosissime sono le opere pittoriche che quasi tutti i musei hanno in collezione.
Gaetano Bocchetti, ancora arzillo e giovanissimo di spirito e perché no anche di fisico, continua a dipingere e lavorare nel suo ridente studio di Napoli, in via Orazio 31.


La cena (refettorio del convento)



L’affresco rappresenta la “Cena” proprio nel momento in cui il Signore dice a Giuda: “Quanto fai, fallo presto”. Si tratta di una grande cosa, priva di ogni artificio, scevra di ogni manierismo, fresca, spontanea, sincera, palpitante di vita. Nessuna sala ma una specie di stamberga rischiarata dal plenilunio che entra da una piccola finestra (di fuori lontana, si vede Gerusalemme) ma ancor più lumeggiata dal potente fascio di luce che sembra emanare dal Redentore, tutto vestito di bianco.
“Quanto fai, fallo presto”.
Gesù ha pronunziato queste parole e Giuda se ne esce torvo, convulso, ombra nell’ombra, con una faccia malvagia.
La bocca di Gesù ha una impercettibile piega di dolore, ma i suoi occhi sono fissi in un punto indefinito, oltreterreno e sembra che da esso gli derivi tutta la luminosità che gli inonda la fronte.
Com’è bello Giovanni, nella sua destra! Che linee morbide! Dolcezza, apprensione, ambascia, interrogazione c’è nel suo volto! È un volto che innamora.
 

Pietro è sdegnato, terribilmente sdegnato: faccia dura, scabra, potente la sua: faccia da pescatore. Se potesse, lo schiaccerebbe, egli, quell’infame di Giuda. Tommaso tiene lo sguardo abbassato: sembra che vigili se stesso, che non abbia quasi il coraggio di guardarsi intorno, di fermare l’occhio sul suo Maestro: vive un dramma interiore.
Ogni figura è mirabilmente individualizzata, quantunque la scena offra una sorprendente fusione, una perfetta unità.

Nessuno parla. C’è un silenzio che nessuno ha il coraggio di violare. Solo il figlio di Simone Iscariota, che esce, potrebbe far rumore col suo passo.
Ma il suo passo è di uno che ama sottrarsi a ogni sguardo e sguscia via.
E c’è la magnifica testa di Matteo. È di una vigoria, di una plasticità straordinaria. Anche Filippo è potentemente modellato: un cuore tenero in un corno di lottatore. E non c’è personaggio, del resto, pur secondario, che non abbia il suo segno decisamente individuale e inconfondibile.

Sorprendente poi la prospettiva.
Così la tovaglia bianca. Ma tante e tante altre sono le finezze e ricchezze che si trovano profuse in questa “Cena” del Bocchetti che Osimo custodisce. 

La cupola
Concezione grandiosa e nuova, questa del Bocchetti, per una Cupola.
Non più la solita gloria di Angeli e Santi, né tanto meno la frammentarietà del soggetto. Qui tutto tende all’uno: ogni figura anche di secondo piano è attratta e vivificata dall’idea animatrice: la glorificazione del Santo Francescano Giuseppe da Copertino.
L’umile seguace di Frate Francesco è portato verso il Cristo, circondato dagli Apostoli, da una schiera movimentata e armoniosa di angeli mentre di fronte al Santo, il Padre e Maestro S. Francesco, lo guarda e tributa il suo omaggio e la sua glorificazione al suo amabile figlio, invitando a glorificarlo tutti i santi e sante della Famiglia Francescana. Questo nel settore di sinistra.
Nel settore di destra, fa riscontro alla santità francescana, la schiera di Fondatori di Ordine Religiosi chiamati a riconoscere tutta la gloria del Francescanesimo.
S. Domenico con S. Teresa, l’osimano S. Silvestro, S. Brunone, S. Bernardo, S. Benedetto con S. Scolastica, S. Francesco di Paola e S. Vincenzo de Paoli, S. Ignazio, S. Agostino con la mamma S. Monica e altri ancora sette, tutta una teoria di figure vive, movimentate, varie negli atteggiamenti ed espressioni.
Al di sopra e all’interno Cristo con gli Apostoli e gli Angeli.
Un’armoniosa festa di luci, colori, canti. Nei pennacchi, le quattro virtù cardinali da cui ha radice ogni santità e, in sei triangoli, le virtù teologali alternate ai tre voti evangelici quasi coronamento e splendore di santità di vita.
Gaetano Bocchetti è un grandissimo pittore, un autentico Maestro. Egli è l’ultimo epigono dell’arte di affrescare, ed ha l’indiscusso merito di aver fatto risorgere una forma di pittura che andava scomparendo; l’affresco, forma d’arte difficilissima in quanto presuppone in coloro che la coltivano conoscenze che vanno molto al di là della preparazione puramente accademica, peculiare ad ogni pittore; conoscenze che vanno dalla maniera di preparare l’impasto dei colori, a quella di predisporre il muro che si vuole dipingere, a quella di provvedere alla calce da usare per l’intonaco, e via dicendo.

 Sant'Antonio nel refettorio 
Fra i molti affreschi realizzati da Gaetano Bocchetti giova richiamare alla memoria quelli eseguiti nella chiesa di Sant’Antonio a Posillipo, le pareti della cattedrale di Orta di Atella, le tre pareti della chiesa francescana di Tramonti, la volta dell’abside della chiesa di Santa Dorotea in Roma a Trastevere, che rappresentano le più vitali e naturali conquiste della pittura moderna, applicata alla grande decorazione dell’Arte Sacra, sempre tendente al «sublime». Per trovare dei termini di riferimento utili a spiegare il fenomeno di Gaetano Bocchetti, pittore di affreschi, occorre risalire ai Maestri del Rinascimento e naturalmente vien fatto di pensare a Leonardo da Vinci, al Buonarroti, al Domenichino, al Ghirlandaio, e, più vicini a noi nel tempo, a Luca Giordano, a Solimene e qualche altro.
Non che gli affreschi del Bocchetti siano una pedissequa imitazione dei primi, tutt’altro, ché il Nostro, pur dipingendo soggetti sacri, già dipinti dai maestri che lo hanno preceduto, è riuscito a conservare intatta la sua potente personalità e la sua schietta originalità, e questo non é poco.


San Francesco parte missionario dal porto di Ancona
Un grande affresco del Bocchetti, unico nel suo contenuto, ripropone la missionarietà di Francesco d’Assisi e della Famiglia Francescana.
Dal porto di Ancona (24 giugno 1219) prese avvio il viaggio di Francesco verso l’Oriente, animato da sete di pace e di conversione. Dopo Francesco e sul suo esempio, soli o a gruppi, molti francescani si sono fatti missionari della giustizia, pietà e coscienza cristiana.
Non poteva mancare nel Santuario di Osimo questo affresco a tutto campo:
Gaetano Boccheti con i frati del convento di Osimo
 - il Santo aveva sempre desiderato l’esperienza della missione
- da qui ebbe inizio il servizio missionario nello Zambia (1930)
- è sempre un invito ad essere pellegrini in ogni angolo del mondo

- è una presenza viva di Francesco nella Chiesa dedicata a un suo “Figlio” – “Santo”
-“cittadino onorario di Assisi”.
Sono le idee ispiratrici che hanno guidato l’artista concludendo la serie degli Affreschi nel Santuario di Osimo. “Eccovi dunque il Copertinate, solenne e maestoso nella sua magnifica e gigantesca figura (più di 4 metri di altezza) che però ho voluto darvi sotto un nuovo aspetto: Non è il Santo rapito o il Santo estatico ma il Santo Protettore, il quale – anziché andare verso il cielo – ne viene a braccia aperte scendendo verso i suoi fedeli, disposto ad accogliere le preghiere. Il suo volto non è soggiogante, il suo incedere sicuro e il gesto largo è invece invitante e quasi confidenziale. Sopra e d’intorno una festa di angeli.” Gaetano Bocchetti nel giorno dell’inaugurazione. Questa ” GUIDA AGLI AFFRESCHI ” che sono nella Basilica S. Giuseppe da Copertino in OSIMO (Ancona) è:
Scena di Natale, in basso la dedica dell'artista a Libero Bovio
- omaggio riconoscenza al Prof. Gaetano Bocchetti, Pittore, nel centesimo compleanno della sua vita;
- lettura meditativa dello stile francescano che ha ispirato, in semplicità e letizia, la sua arte;
- invito cordiale ad accogliere il messaggio del “Santo dei voli” ad aspirare, in un clima di secolarismo, alle cose celesti. È un piccolo frammento che rende attuale questo carissimo pittore napoletano che continua a vivere oggi, come ieri, la sua giovinezza mentale. Gli anni anagrafici (compie 100 anni il giorno 10 agosto 1988) in questi casi non contano. È un riconoscente saggio che dovrà essere ripreso e fissato per la futura “Vita e storia artistica della pittura di Gaetano Bocchetti”. Beneaugurando
Osimo, 10 agosto 1988. Francescani del Santuario S. Giuseppe da Copertino Osimo."
Sacondigliano, chiesa parrocchiale dei Santi Cosimo e Damiano, affreschi della cupola e pennacchi

Ciclo di affreschi realizzati nella chiesa di Santa Maria Maggiore, di Piedimonte Matese (CE):
 










 















Ecco una recensione trovata nel WEB, che descrive nei dettagli la carriera artistica percorsa dal maestro Gaetano Bocchetti:

Biografia del maestro tratta da un sito d'arte

Biografia del maestro tratta da un sito d'arte


Altri suoi affreschi e dipinti (prevalentemente riguardanti decorazioni pittoriche di cupole e di navate di edifici religiosi) si trovano nelle chiese di: "Maria SS. Assunta" a Miano (NA), "SS. Cosimo e Damiano" a Secondigliano (NA) "Santa Maria Maggiore" a Piedimonte Matese (CE), "Sant'Antonio" a Posillipo (NA), "San Massimo" in Orta d'Atella (CE), "San Francesco" a Tramonti-Polvica (SA), "San Giorgio" a Afragola (NA), "San Francesco" a Sava (TA) e "Santa Dorotea" a Trastevere (Roma).
Gaetano Bocchetti muore a Napoli, nell'anno 1990, all'età di 102 anni.
Non sappiamo se il saggio sulla vita del maestro, di cui nella monografia di Osimo si auspica la stesura, sia stato pubblicato.
Gaetano Bocchetti è un artista del '900 ancora in attesa di essere scoperto e rivalutato dalla critica d'arte moderna, nonostante che le sue opere oggi siano esposte nei musei e vendute nei più famosi salotti d'arte contemporanea, in Italia e all'estero.
Salvatore Fioretto