venerdì 26 giugno 2015

Giuseppina, la fanciulla del perdono...! 2^ parte

Continuiamo a narrare la storia di Giuseppina Bianco, con l'epilogo della sua uccisione. Prenderemo spunto questa volta dal libricino "Giglio Insanguinato", scritto da Innocenzo Davide, che fu suo padre spirituale, dal quale prenderemo alcuni frammenti di brani scelti (gli scritti di I. Davide sono stati riportati in corsivo).

------------------------------------ o O o -------------------------------------


In quel periodo, nel territorio tra Marianella, Mugnano e Chiaiano si stava celebrando una Santa Missione popolare. La Missione era stata fermamente voluta dal parroco di Marianella, don Ernesto Contegno, supportato dall'aiuto della pia signora Maria Pesacane, zelante volontaria territoriale dell'Azione Cattolica di Napoli.
Nell'infuriare della guerra sul suolo italiano, il pio e zelantissimo Parroco Don Ernesto Contegno di Marianella mostrava più che mai di essere il buon pastore tra le anime affidate al suo cuore. Per preservare tanti suoi filiani dalla tormenta e dalla valanga del male che nei paesi travolgeva e seppelliva ogni valore morale, desiderava una santa missione perpetua. E la Provvidenza gli venne incontro. Un povero missionario che aveva avuto il convento sinistrato e che era sfuggito alla caccia all'uomo dei Tedeschi, trovò riparo ed ospitalità nella masseria "Epitaffio" del Comm. Sthael di Napoli. La Missione durò quasi un anno. 
In questa Missione e di questa Missione visse Giuseppina Bianco...
"Ho bisogno di andare alla Cappella, - ripeteva spesso - come si fa a non andare da Gesù". 
La cappella, il tabernacolo, la parola di Dio era diventata tutta la sua vita. Pioggia, bombardamenti, niente valse ad allontanarla dalla cappella. 
Per quel momento di raccoglimento giornaliero, a lei caro, non badava a pericoli o al rischio di imbattersi in qualche brutta situazione.
[...] A chi le faceva notare che poteva incontrare dei negri, rispondeva sorridendo: - "Ma che negri, non si sa, vado alla cappella!"
Alla mamma che si mostrava preoccupata, nel vederla andare con i bombardamenti alla Cappella, diceva: - "Mamma, io vado dalla Madonna, lo sapete? Che volete che mi succeda?" 
Per questa devozione alla Madonna, Giuseppina riservava un grande amore e tantissimi fioretti a lei dedicati.
Quei distacchi dalla terra fornivano i suoi fioretti, che nel mese di maggio raggiunsero la cifra di 118. Le piccole cosucce che potevano legare al suo cuore erano per lei tante zolle di terra che volevano atterrarla, e perciò rinunciava a tutto per vivere solamente per il suo Gesù [...].
Rinunziava anche al cibo, per quei fioretti, a volte anche a sole due mele...
La mamma, che la vedeva deperire sensibilmente, avrebbe voluto trattenerla alquanto, ma Giuseppina si era messa in moto e non voleva arrestarsi. 
-"Bisogna fare i fioretti, ripeteva invariabilmente e non c'era nulla da fare." [...]
Questa straordinaria e rapida inversione della sua vita fu notata da alcuni suoi compaesani e in molti esclamavano dicendo:
"Uh, Giuseppina si è data alla vita devota!"
In effetti Giuseppina aveva ormai deciso il suo futuro e aspettava, come le era stato chiesto dalla Superiora del convento e dal sacerdote missionario, suo consigliere spirituale, il ritorno del papà dalla prigionia, per ottenere la sua autorizzazione, necessaria per poter entrare come novizia nel convento delle suore di Pianura. 
Già in quella missione la Provvidenza aveva fatto fiorire una primavera di vocazioni e ben sette giovanette correvano a consacrare il fiore della loro giovinezza ed il tesoro del proprio cuore al Signore, nel monastero delle Suore Vocazioniste di Pianura.
Giuseppina Bianco era intenta quindi a frequentare, assiduamente ogni sera, le funzioni religiose che si tenevano alla Cappella della masseria Epitaffio... Seguiva anche le celebrazioni che si tenevano, per quella Santa Missione, nelle parrocchie vicine, Mugnano, Marianella, Chiaiano...., ad accompagnarla era la stessa signora Maria Pesacane.
Quel pomeriggio del 17 maggio era un apparente e quieto pomeriggio di tarda primavera, il suono della campanella, che richiamava i fedeli alla Cappella, si udiva per tutta la bella campagna circostante, tra Piscinola e Mugnano...
Purtroppo la partecipazione quella sera alla funzione nella Cappella sarebbe stata la sola ancora di salvezza per Giuseppina, invece, per un tragico gioco del destino, gli eventi presero, purtroppo per lei e per la sua vita, una piega ben diversa: perché fu una vera tragedia...!!
Quella sera non fu come le altre sere e la madre di Giuseppina non consentì alla figlia di andare alla Cappella, come faceva ormai tutte le sere di quel mese di maggio.
Giuseppina intanto aveva lavorato tutto di un fiato per essere pronta al mese Mariano, udì la campanella della cappella e fece per andarsene dal campo. La mamma subito l'investì: "Questa sera non è il caso di andare alla Cappella. C'è tanto lavoro da fare in campagna e non è bene lasciare al lavoro il fratello che ora è tornato da Napoli ed è corso per aiutarci."
Chiaramente la ragazza apprese con sofferenza questa decisione della mamma, cercando in tutti i modi di convincerla a cambiare idea, ma, invano, non ci riuscì...
"Ma che mi volete farmi commettere un peccato interrompendo il mese della Madonna?"
"Non è poi un delitto, - continuò la mamma - non andare una sera alla Cappella". 
La giovinetta, ferita sul vivo, non aveva più intenzione di riprendere il suo posto di lavoro. La mamma per smuoverla fu costretta a dirle che non l'avrebbe mandata più alla Cappella se non desisteva dal suo capriccio. Giuseppina riprese allora la sua occupazione mentre le sfuggiva quest'ultimo lamento: "Ma proprio questa sera che c'è una bella predica non volete mandarmi alla Cappella!"
In quei giorni fu notato dai contadini un soldato di colore, appartenente delle truppe francesi, girovagare tra i viottoli delle campagne circostanti Piscinola e Marianella. Il milite, che era equipaggiato con un doppio zaino e un fucile portato a tracolla, finì per passeggiare lungo la via che chiamavano "lo stradone". Appariva come un soldato fuggiasco, distaccatosi dai suoi commilitoni, perdendo poi l'orientamento; tuttavia in tanti cercavano di sapere il suo stato, dandogli del cibo...
Nell'attesa chiese qualcosa da mangiare, consumò delle sigarette e a pezzi e bocconi rispose a quel fuoco di fila di domande che gli rivolgevano quei buoni contadini: "Cassino... campo.... Chiaiano... aspetto... fare notte"...Tanti capirono, da quel poco che riusciva a pronunciare in italiano, che era originario dell'accampamento militare sito in precedenza a Chiaiano o a Piscinola e che era fuggito, quando il campo era stato smobilitato per proseguire verso Cassino... Nel frattempo attendeva la notte per allontanarsi dalla zona...
Fu proprio questo soldato ad agire quella sera del 17 maggio ai danni della nostra ragazza... 
Si mantenne per un po' di tempo distaccato dal nostro gruppetto di contadini. Forse già da qualche giorno aveva meditato il suo piano e stava sorvegliando la sua preda, nascosto tra siepi e tra le spighe di grano, che a metà maggio sono già abbastanza alte da far celare alla vista la presenza di persone. 
Quella sera il soldato marocchino decise di entrare in azione... Erano quasi le ore 20:00... 
Uscì da una siepe muto e severo finse di trovarsi sperduto nel campo. Poi con voluta curiosità si attardò ad osservare il lavoro dei familiari di Giuseppina.
Teresa Bianco e i suoi figlioli erano da diverse ore nella loro campagna, sita poco distante la strada che collegava Piscinola con Mugnano, detta cupa Perillo; avevano quasi smesso di lavorare e stavano raccogliendo le loro cose per prendere la via verso casa, prima dell'imbrunire. 
Fu Giuseppina ad accorgersi anzitempo della presenza di quell'uomo vestito da soldato. Un soldato di aspetto alto e magro, dalla pelle leggermente scura, con una vistosa cicatrice sulla guancia destra. 
Sentendosi a disagio sotto lo sguardo del soldato, la ragazza domandò alla madre:
"Mamma, che cerca costui?"
La mamma la tranquillizzò, dicendole di non aver paura. Giuseppina invece sentiva rumoreggiare della tempesta ormai vicina. Finalmente il soldato, fatto ardito, si avvicinò alla giovanetta curva a lavorare e le presentò lo zaino pieno di leccornie, mormorando sa lui che cosa. [...]
Giuseppina voltò bruscamente le spalle al soldato, replicandogli con sdegno: "Non io, ma i tuoi pari accettano simili cose". 
Il soldato, spavaldo, capendo di essere stato respinto dalla ragazza, tirò fuori il fucile e si mise a sparare in aria molti proiettili, minacciando di colpirla se avesse continuato ad ostinarsi nel suo rifiuto. 
Ma ella continuò a ripetere con fermezza: "Uccidimi, se vuoi, ma non farò quel che dici".
Teresa e gli altri fratelli più piccoli, intanto, accorsero subito in aiuto della fanciulla, cercando di far desistere il soldato dai suoi cattivi propositi, ma non ci fu verso per fargli cambiare idea... ripeteva, come una litania, sempre la stessa cosa: Signorina..., "Signorina con me..."
Dipinto con scena di vita agreste
La madre e i fratellini di Giuseppina sfidarono la morte pur di poterla salvare dalle mani del suo attentatore, ma non ci riuscirono. La mamma in ginocchio supplicò invano di lasciare in pace la sua fanciulla; la stessa sorellina, Margherita, di sei anni, cercò di scappare per chiedere aiuto nella vicina masseria Epitaffio, ma fu bloccata per un braccio dal vile soldato... che comandò a tutti di mettersi faccia a terra, se non volevano morire.
Approfittando di un attimo di distrazione del soldato, in quel frangente concitato, Giuseppina si caricò di un fascio d'erba, cercando di raggiungere la masseria Epitaffio...
L'innocente fanciulla si carica di un fascio d'erba e prende la via per sottrarsi allo sguardo del tentatore che inferocito la raggiunge, le strappa di sul capo il fascio d'erba e l'agguanta per la mano. L'angelica fanciulla geme: "Oh! mamma, che cosa mi hai fatto... se mi mandavi alla cappella." [...]
"Mamma di Pompei aiutami"; esclama, con enfasi derelitta, e si strappa dalle mani del soldato[...].
Corse, allora, con tutta la velocità che poteva, verso quella Cappella affollata, che sarebbe stata la sua salvezza; il soldato cercò di inseguirla e, forse, capendo di non poterla più raggiungere, si fermò di blocco, abbracciò il suo fucile e lo puntò verso la ragazza...mirando le spalle...
La mamma ed il fratello di Giuseppina accorrono di nuovo e afferrano la canna del fucile per impedire che l'assassino faccia del male, e incoraggiano la fanciulla alla fuga. Il soldato si agita e si dimena, poi con un colpo di pugnale si libera dai due, ferendoli al braccio, e poi... 
A questo punto il soldato, ormai fuori di sé, fece esplodere alcuni colpi, che raggiunsero Giuseppina al cuore e al polmone sinistro. La ragazza cadde a terra, ma ebbe ancora la forza di gridare: "Ma non mi ha fatto niente!"
... L'assassino, fucile imbracciato, è scomparso. La povera mamma accorre, raccoglie tra le braccia l'eroica figlia e la stringe forte forte al suo cuore di madre, riproducendo dal vivo il quadro della pietà. I fiotti di sangue bagnano il petto della povera madre che, raccogliendo l'ultimo grido della martire, le ricorda la vittoria riportata sul male. 
-"Non avere paura figlia mia, il pericolo del male è passato, il soldato è scappato via. Adesso andremo dal medico e rimedieremo anche alla fucilata". 
Il resto del triste episodio dell'eccidio è un susseguirsi di sentimenti di pietà e di religioso compianto, anche di sdegno, ma mai di rancore e di desiderio di vendetta! 
Questa è la grandezza della storia di Giuseppina Bianco, al di là della suo martirio e della violenza subita per difendere i suoi ideali di purezza e di volersi consacrare a Dio, che sono pur nobili e altissimi esempi di valori cristiani: la grandezza di questa storia è proprio l'assenza tra i familiari e nella stessa comunità di appartenenza di ogni desiderio di vendetta... Qui il "perdono" emerge con tutta la sua forza interiore, in un contesto sociale già flagellato e mortificato moralmente dalla guerra e dall'occupazione militare straniera.
Le lacrime della mamma intanto si mescolano al sangue della figlia. Giuseppina occhi rivolti al cielo bisbiglia: - "Mamma..." -
"Parla" - si affretta a rispondere la mamma - Parla angioletto mio". 
Il pensiero della martire correva alla Mamma del Cielo: - "Mamma di Pompei.... aiu...tami".
Arrivò intanto di corsa il missionario della cappellina per dare l'estremo conforto religioso all'eroica giovane.[...]
Il missionario si avvicinò allora al carretto, sul quale era stato intanto adagiata la ragazza ormai moribonda, raccomandò di pregare per il suo assassino, mentre le impartiva i conforti religiosi... 
In quel frangente il polso della ragazza cessò di battere...
Il corpo di Giuseppina fu portato nella sua masseria e vegliato per tre giorni. La fanciulla, sistemata nel suo lettino, indossava un abito bianco sul quale emergeva, sul petto, il rosso di una chiazza di sangue, mentre un Crocefisso e un Rosario, erano stati posti tra le sue mani congiunte. 
Giunsero alla camera ardente anche alcuni soldati appartenenti alla Military Police "MP" francese, che erano accorsi per svolgere le indagini di rito. I militari restarono però a lungo in sosta davanti al feretro, in silenzio, con il capo scoperto..., forse sconcertati...
Dopo le indagini, il 20 maggio 1944, un imponente concorso di popolo salutò la ragazza ai suoi funerali, sia nella chiesa del SS. Salvatore e sia nella piazza antistante. Il suo feretro fu poi trasportato in corteo per tutte le strade di Piscinola.
Una settimana dopo, il cardinale Ascalesi celebrò una solenne cerimonia funebre in ricordo di Giuseppina, sempre nella chiesa del SS. Salvatore di Piscinola; anche in questa circostanza ci fu una una grande partecipazione popolare. 
Erano presenti in entrambe le funzioni tutti i componenti della famiglia e i parenti della ragazza, eccetto il fratello maggiore, che era marinaio a Taranto e il padre, ancora prigioniero di guerra.
Andrea Bianco, padre di Giuseppina, tornò a casa dopo quattro anni di prigionia, confidando ai familiari e ai parenti che aveva anzitempo ricevuto la notizia dell'assassino della sua figlioletta: perché in prigionia aveva sognato Giuseppina che gli mostrava una ferita al petto, raccontando la storia della sua uccisione.  
Ripeteva Andrea: ..."Lei era contenta e non vuole vederci scontenti".
Il povero padre affrontò la penosa vicenda familiare con serenità e rassegnazione. 
Quando incontrò la moglie, che commossa cercava di parlargli di Giuseppina, le disse:
"...Tu vuoi parlare di Giuseppina, ma Giuseppina non l'abbiamo perduta. Essa ci guarda dal cielo. Noi dobbiamo essere felici, che la nostra figlia ha saputo difendere la sua onestà e la sua fede. - Dimmi piuttosto l'hai perdonato?"
- "Si, l'ho perdonato subito e ho insistito che non gli facessero del male."
- "Hai fatto benissimo, ora posso stare tranquillo. Facciamoci coraggio e impegniamoci ad essere degni di Giuseppina."
Era l'ottobre del 1945 quando in quella casa dove era stata esposta la piccola martire per tre giorni, la famiglia di Giuseppina emetteva quest'atto solenne di fede vissuta.

Il missionario, che aveva assistito gli ultimi istanti di vita di Giuseppina, volle conoscere il padre della ragazza. 
Durante quell'incontro, Andrea gli chiese notizie del soldato:
"Ma padre, - interruppe Andrea, - sapreste dirmi dov'è questo soldato e che cosa gli hanno fatto?"
- "E perché mai questa domanda, caro Andrea?"
- "Non pensate, Padre, che io voglia vendicarmi. Quella fede che ha fatto di mia figlia una martire mi comanda di perdonare, e se mia figlia ha saputo morire, io so perdonare. Chiedo notizie del soldato perché sono desideroso di vederlo libero, avendo egli compreso il male che ha fatto."
Tre mesi dopo il suo arrivo a Piscinola, a pochi giorni dal Natale 1945, Andrea Bianco moriva per un attacco di trombosi, nella sua stanza, al piano superiore, nella masseria dove abitava.
Del militare, assassino della fanciulla, non si è mai saputo niente, qualcuno pensa che sia stato catturato; come non si è mai appurato se abbia avuto un momento di pentimento per il suo vile gesto.

La storia della ragazza piscinolese fu raccontata al pontefice, Pio XII, dal cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi, come un esempio luminoso della gioventù napoletana dell'epoca. Il pontefice, commosso, rimase colpito ascoltando la frase che la ragazza pronunciò al momento dell'uccisione; la ripeté più volte: 
"Però non mi hai fatto niente"...
Poi rivolto al card. Ascalesi, aggiunse: "E' la Santa Agnese dei nostri tempi che tutti devono conoscere ed imitare!".
Al termine della Guerra, mentre tutta la stampa estera si divertiva a screditare l'onestà delle donne italiane, definendole "corrotte", il cardinale Alessio Ascalesi riparava a questa ingiusta accusa, indicando come esempio proprio la storia della nostra fanciulla: "Giuseppina Bianco - diceva il cardinale Ascalesi - con il suo martirio ha risposto alla stampa estera ed ha insegnato a tutti a conoscere la vera donna cattolica italiana". 
La tomba di Giuseppina si trova tra i giardini del vecchio cimitero comunale di Miano ed è meta continua di visite di persone che hanno conosciuto la sua triste storia; in tanti sono quelli che sostano in preghiera o portano semplicemente un fiore per onorare la sua memoria.

Alla cappellina della masseria Epitaffio è posta una croce in ricordo di quella Missione popolare, mentre al pavimento è stata sistemata una lastra di marmo, che ricorda la partecipazione della ragazza alle funzioni religiose, con questa scritta: 
"A te, o Croce, questo cuore insanguinato; a voi cattolici il mio testamento: morte ma non peccato!"

Speriamo, a conclusione di questo racconto dedicato alla vita di Giuseppina Bianco, che possano riemergere in questo quartiere di Piscinola e nei suoi abitanti, dei sentimenti e dei propositi di riconoscenza, diretti a questa nostra sfortunata concittadina, dedicandole un monumento oppure intitolando alla sua memoria una strada del quartiere.
Salvatore Fioretto


Questo racconto è dedicato al compianto parroco di Piscinola, don Francesco Bianco, parente di Giuseppina. Padre Bianco aveva molto a cuore la storia di questa ragazza e cercava in tante circostanze di farla conoscere a quanti non la sapevano. Attraverso Padre Bianco ho ricevuto una copia del libretto "Giglio Insanguinato", dal quale ho tratto molti spunti per questo racconto.
Ringrazio tutta la famiglia di Giuseppina Bianco, Pietro  Bianco e la signora Palladino Raffaela,  per l'aiuto generosamente fornitomi per la scrittura di questo racconto. 
 

Tutti i diritti legati alla pubblicazione degli scritti contenuti nel blog sono riservati all'autore, secondo le normative di legge vigenti.