venerdì 16 agosto 2013

La contrada di San Rocco

Oggi, 16 agosto festa di San Rocco, è doveroso ricordare l'antico centro abitato, ubicato tra Piscinola, Marianella e Capodimonte, che dal Santo pellegrino prende in nome: la località di San Rocco. 
 
La contrada è spesso chiamata impropriamente "San Rocco di Capodimonte", solo per la sua vicinanza al Bosco di Capodimonte, ma di fatto appartiene amministrativamente al quartiere di Piscinola, almeno fino al lato del ponte nuovo.
Vallone di San Rocco, con il vecchio ponte omonimo
Le origini di questo centro abitato non sono precise, secondo alcune testimonianze storiche, alquanto lacunose, durante la peste del 1656 alcuni nobili napoletani fecero voto a San Rocco, protettore appunto contro l'epidemia della peste, di salvarsi e, lasciando la città, realizzarono le loro nobili dimore in quel punto della collina posto a ridosso del profondo vallone, poi chiamato "Vallone di San Rocco", in quanto apprezzato per l'aria buona e la natura rigogliosa. Scampati all'epidemia, questi nobili sciolsero il voto e chiamarono quel luogo "San Rocco". In seguito fecero erigere una cappellina in onore del Santo taumaturgo. All'epoca la contrada apparteneva al Casale di Marianella. 

Nel XIX secolo fu eretta una chiesa più grande, in stile neogotico, con accesso dalla nuova Via Santa Maria a Cubito. La strada vecchia di San Rocco, con il suo ponte storico, tuttora esistente e conservato, ha rappresentato per secoli la principale via di collegamento di Marianella e Piscinola alla città di Napoli. In prossimità del ponte, intorno al 1830, fu eretto  un drappello di dogana, appartenente alla nuova cinta muraria, chiamata:  "Muro Finanziere". 
Per la nuova strada provinciale Santa Maria a Cubito, in corrispondenza del vallone di San Rocco, fu realizzato l'imponente ponte in tufo, con altissimi pilastri. Il primitivo ponte ottocentesco fu, purtroppo, abbattuto dai Tedeschi in ritirata, nell'ottobre del 1943 e rifatto successivamente nel dopoguerra, come lo si vede oggi.
Salvatore Fioretto
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Nella foto a lato, la statua d'argento di San Rocco portata in processione a maggio, in S. Chiara. La statua è conservata nella Real Cappella del Tesoro di San Gennaro di Napoli, appartiene al novero dei Santi Compatroni della città di Napoli. Poco dietro, per pura coincidenza, quella di S. Alfonso dei Liguori...
 


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mercoledì 14 agosto 2013

A Miano, l'ultima "tazza 'e cafe"!

Con questa pagina vogliamo ricordare un grande napoletano, che trascorse gli ultimi anni della sua vita abitando nel centro storico del popoloso quartiere di Miano: il poeta Giuseppe Capaldo.

Capaldo scrisse, tra il 1906 e il 1919, i versi di molte canzoni napoletane,  tra cui le celebri "Comme facette mammeta!" e "L’arte d’o sole": entrambe musicate dal bravissimo (e autodidatta) Salvatore Gambardella, poi "Balcone 'nchiuso", "'A marina 'e Tripoli", "Hanna turnà!", "Cinematografo Cinematografà", "E llampadine" e "Tammuriata cafona!" (di queste ultime due scrisse anche la musica!), ma il suo gioiello più bello è stata la spassosa "'A tazza 'e cafe", musicata da Vittorio Fassone,... si dice scritta ai tavolini del Cafè Persico. 
Eccola:

Vurría sapé pecché si mme vedite,
facite sempe 'a faccia amariggiata...
Ma vuje, quanto cchiù brutta ve facite,
cchiù bella, a ll'uocchie mieje, v'appresentate...
I' mo nun saccio si ve n'accurgite!
Ma cu sti mode, oje Bríggeta,
tazza 'e café parite:
sotto tenite 'o zzuccaro,
e 'ncoppa, amara site...
Ma i' tanto ch'aggi''a vutá,
e tanto ch'aggi''a girá...
ca 'o ddoce 'e sott''a tazza,
fin'a 'mmocca mm'ha da arrivá!...

Qualcuno tracciando la biografia di Capaldo ha fantasticato che il poeta, che fu da giovane cameriere del celebre caffè napoletano "Caffè Tripoli", l'abbia dedicata ad una avvenente cassiera del "Caffè Persico", di nome Brigida e per la quale perse completamente la testa, ma credo che queste sono perlopiù leggende metropolitane da caffè...! Si racconta ancora che un giorno alcuni turisti ascoltando la celebre canzone de "'A tazze 'e cafè", suonata dall'orchestrina del Caffè, abbiano chiesto al poeta chi fosse lo scrittore di quella bella melodia, e che poi questi rimasero stupiti e decisamente increduli quando Capaldo si dichiarò l'autore. Capaldo ebbe una grande stizza, al punto che si tolse in quell'istante la giacca di cameriere e decise di non esercitare più la professione...!
La canzone "Comme facette mammeta" si classificò seconda al  concorso di audizione della Piedigrotta del 1906, venne interpretata e fu cavallo di battaglia della celebre Elvira Donnarumma.
Ecco alcuni versi di Comme facette mammeta:

Ciento rose 'ncappucciate,
dint'a màrtula mmescate......
Latte, rose, rose e latte,
te facette 'ncoppo 'o fatto!...

....
nu panaro chino, chino,
tutte fravule 'e ciardino

Mèle, zuccaro e cannella:
te 'mpastaje 'sta vocca bella...

(A lato la foto della cantante E. Donnarumma)

La vita di Giuseppe Capaldo non fu rosea, ebbe due figli dal suo matrimonio, e riuscì a stento a sopravvivere alla misera.... Trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà, come peraltro capitò a moltissimi compositori e musicisti nel periodo d'oro della canzone napoletana. Abitò in un piccolo e umile appartamento di vico I Parisi, nel centro storico di Miano, ove morì il 26 agosto del 1919, a soli 45 anni, a seguito di una brutta malattia, quasi dimenticato dai napoletani!
Giuseppe Capaldo fu uno dei veri cantori dell'animo popolare di Napoli, semplice e modesto, ma dalla grande nobiltà d'animo, come lo fu anche Vincenzino Russo.
Oggi, a distanza di quasi 100 anni, dobbiamo dire che, purtroppo, a questo grande artista della bella Napoli, non è stata dedicata nemmeno una lapide in suo ricordo, nel popoloso quartiere dove trascorse l'ultimo periodo della sua vita... 
Ma c'è sempre tempo per rimediare....!
Salvatore Foretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


Alcune strofe della canzone "'E llampadine":




I versi di "A marina 'e Tripoli":



Mo ch''a marina 'e Tripoli è d''a nosta
n'ata Santa Lucia n'avimm''a fá:
Attuorno â riva tutte risturante
cu 'e puóste 'e ll'ostricare 'a ccá e 'a llá!
E tanta voce belle pe' cantá!

Accussí sti Ttripuline,
accussí sti Ttripuline,
nc''e ffacimmo paisane,
nc''e ffacimmo paisane...
Tanto cchiù ca só' schiavone,
'e vvestimmo 'a Luciane...
'E vvulimmo fá cantá...
Napulitano!
....








domenica 11 agosto 2013

Via Miano Agnano: la prima tangenziale di Napoli...


Fu costruita tra gli anni '20 e '30 dell''800, la lunga e tortuosa strada collinare destinata a collegare la piana campana a nord di Napoli con la zona flegrea, i laghi  e il mare. Ma l'obiettivo fondamentale fu collegare l'ampio, e ai più sconosciuto, lago di Agnano, circuitando le strade del centro di Napoli. Questo asse stradale, così importante, fu chiamato "Strada dei Canapi Agnano-Miano". 

Lo scopo di questa via di comunicazione, dettato dalla monarchia borbonica, era preciso: permettere ai contadini, provenienti dalle campagne a nord di Napoli, di poter trasportare il lino e la canapa, da essi prodotti, e raggiungere agevolmente il lago di Agnano, da secoli utilizzato per la macerazione di queste fibre tessili, un tempo molto importanti per l'economia locale e del Regno.
Per permettere la costruzione di questo imponente asse stradale, molto importante per l'epoca (che partendo da Secondigliano, collegava Piscinola, Marianella, Frullone, Cangiani, La Pigna, con Fuorigrotta e Agnano), fu acceso un prestito con alcuni facoltosi imprenditori, che furono poi i realizzatori dell'opera; il prestito fu riscattato a rate dai cittadini dei Casali utilizzatori, pagando una apposita imposta governativa, fino alla seconda metà del secolo. Il pagamento si prolungò oltre, per alcuni decenni ancora, perchè l'opera andò molto a rilento (ma non è una novità oggi!) e occorse altro tempo per completarla.   
La strada fu progettata da ingegneri e da architetti della Regia Scuola dei Ponti e delle Strade di Napoli. Purtroppo pochi anni dopo l'Unità d'Italia, a causa dei miasmi e degli odori pestiferi che il lago di Agnano emanava verso i villaggi circostanti, proprio per la fermentazione della canapa e del lino, nonché per i numerosi episodi di malaria trasmessi agli abitanti dalle zanzare infette, più volte fu tentato di smistare il flusso degli utilizzatori verso gli altri laghi dei Campi Flegrei, più distanti da Napoli, come il lago Fusaro e l'Averno. Il termine di Fusaro si crede che derivi proprio di questa pratica di macerazione delle fibre tessili (dal termine "Infusarum"). 

(La mappa riporta l'opera di bonifica completata, e la zona come si presentava nella prima metà del '900)
Verso gli ultimi decenni del '800, lo Stato Italiano decise di far essiccare il lago di Anniano (Agnano) e bonificare l'intera area destinandola all'agricoltura. Allo scopo fu creato un emissario artificiale sotterraneo, che dal lago permetteva di far defluire le acque raccolte nel bacino idrografico verso il mare, in prossimità della spiaggia di Bagnoli. L'opera lunga circa 1,5 km è ancora lì perfettamente funzionante.
Gli abitanti del Circondario di Casoria e dei Casali e Comuni limitrofi (fra cui Piscinola e Marianella), ebbero modo di sollevare una protesta verso lo Stato per il divieto di utilizzare il lago di Agnano, divieto che subentrò subito dopo l'esecuzione della bonifica, considerato che pagavano ancora il canone di costruzione. La controversia si risolse indirizzando le varie comunità agricole a lavorare le loro fibre tessile verso il Lago Patria. Successivamente, dopo le opere di bonifiche, il luogo per la macerazione fu scelto quello corrispondente la foce dei Regi Lagni, che fu attrezzato allo scopo, con vasche e aree scoperte per l'essiccazione delle matasse. Tale pratica è stata perpetuata fino agli anni '50 del secolo scorso.

Agli inizi delgli anni '70 la strada in parola è stata intitolata a Vincenzo Janfolla, noto giurista potentino e deputato del Parlamento Italiano, purtroppo senza legami con questo territorio..., ma sotto la lapide toponomastica si può ancor leggere "già via Miano Agnano". La strada è stata giustamente menzionata, in piu fonti, come la "Prima tangenziale di Napoli", perchè, e sono molti a non saperlo, al contrario del Corso Vittorio Emanuele (completata solo nel 1860), è stata la prima grande arteria stradale, dell'era moderna, a circumvalicare veramente la città di Napoli.

Salvatore Fioretto
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(Mappa con sopra evidenziato lo sviluppo dell'arteria stradale)


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